regia: Mirjana Karanovic; sceneggiatura: Mirjana Karanovic, Stevan Filipovic, Darko Lungulov; fotografia: Erol Zubcevic; montaggio: Lazar Predojev; musica: Dejan Pejovic; interpreti: Mirjana Karanovic, Boris Isakovic, Jasna Djuricic, Bojan Navojec, Ksenija Marinkovic…; produzione: Snezana Penev per Cineplanet/This & That Production.
v.o. serba, st. francese/tedesco, 94’
Serbia/Bosnia Erzegovina/Croazia 2016
Vincitore del Trieste Film Festival 2017
Milena ha cinquant’anni, due figli e un marito che ama. Un’esistenza agiata, altoborghese, una bella casa a Belgrado. La sua routine quotidiana prende una direzione imprevista quando le viene diagnosticato un tumore al seno e, quasi contemporaneamente, facendo le pulizie di casa scopre una VHS girata durante la guerra in cui si vede il marito che uccide dei civili a sangue freddo…
Con Dobra zena (Una brava moglie), la sua opera prima dietro la macchina da presa, Mirjana Karanovic, la magnifica attrice serba vista, tra gli altri, in film di Draskovic, Kusturica, Paskalijevic e della Zbanic, ha vinto la ventottesima edizione del Trieste Film Festival. Ispirata a uno dei tanti episodi atroci della tragedia che ha sconvolto l’ex Jugoslavia, sceglie come luogo privilegiato per l’ennesima riflessione sul dopo lo spazio domestico, osservando in maniera non banale “le famiglie disfunzionali delle persone che hanno commesso questi crimini”, come ha dichiarato l’autrice, mettendo in scena efficacemente una normalità esibita sotto la cui superficie continuano a far male le ferite di un passato troppo recente per poter essere dimenticato e le angoscianti scelte imposte dal suo riemergere.
(Paolo Vecchi, in “Cineforum”, 566, luglio 2017)
regia: Tomasz Wasilewski; sceneggiatura: Tomasz Wasilewski; fotografia: Oleg Mutu; montaggio: Beata Walentowska; interpreti: Julia Kijowska, Magdalena Cielecka, Dorota Kolak, Marta Nieradkiewicz, Tomasz Tyndyk, Andrzej Chyra, Lukasz Simlat, Marcin Czarnik…; produzione: Agnieszka Drewno, Piotr Kobus, Jonas Kellagher, Simon Perry per Manana/ Common Ground Pictures/Film i Väst.
v.o. polacca, st. francese, 106’ – Polonia/Svezia 2016
Orso d’argento per la miglior sceneggiatura, Berlino 2016
Polonia, 1990. Il primo anno di libertà, ma anche di incertezza per il futuro. In questo contesto, quattro donne di diversa età decidono che per loro è giunto il momento di soddisfare i loro desideri…
Il premio per la sceneggiatura andato a Zjednoczone stany milosci (United States of Love) del polacco Tomasz Wasilewski non dà il giusto merito a un film dove è la regia, semmai, a spiccare sul racconto. Le storie marginali di alcuni abitanti della provincia polacca dei primi anni Novanta, quella di Solidarnosc e del cambiamento, si intrecciano fra loro. La solitudine e la difficoltà dei rapporti umani, nonostante uno stile di vita che per molti sta rapidamente mutando forma, restano quelli di sempre e la speranza per un domani migliore appare annebbiata da un presente cupo e malinconico.
(Lorenzo Rossi, in “Cineforum”, 553, aprile 2016)
regia: Andrej Zvyagintsev; sceneggiatura: Oleg Negin, Andrey Zvyagintsev; fotografia: Mikhail Krichman; montaggio: Anna Mass; musica: Evgueni Galperine, Sacha Galperine; interpreti: Maryana Sivak, Aleksey Rozin, Yanina Hope, Daria Pisareva, Matvey Novikov…; produzione: Gleb Fetisov, Sergey Melkumov, Alexander Rodnyansky, Olivier Père per Non-Stop Productions / Fetisoff Illusion / Arte France Cinéma / Why Not Productions.
v.o. russa, st. francese, 127’
Premio della giuria, Cannes 2017
Nelyubov ovvero privo d’amore, espressione che in questo film ha un doppio significato. È senza amore innanzitutto il protagonista, un bambino, che pure scompare dal film dopo una manciata di sequenze, giusto il tempo di esprimere il suo dolore per la separazione dei genitori, i quali senza tanti complimenti parlano davanti a lui delle nuove, rispettive vite di coppia che li aspettano dopo la rottura. Al centro del film rimane dunque la sua sparizione, improvvisa, misteriosa e, per i genitori, fastidiosa, visto che interrompe lo slancio con cui progettano i rispettivi futuri…
Ma senza amore, in una valenza ora positiva del termine, è anche lo sguardo del regista su questo mondo di sfacelo morale, dominato dall’egoismo e dall’utilitarismo. Abbandonati le atmosfere malinconiche e i tempi morti del precedente Leviathan, Zvyagintsev questa volta gira con crudele essenzialità, riempiendo i vuoti del melodramma con una messa in scena di gelida eloquenza, dominata da piani sequenza e riprese fisse che fotografano impietosamente la deriva morale dei protagonisti.
(Leonardo Gandini, in “Cineforum”, 566, luglio 2017)