MOSTRI SACRI DEL ROCK E DINTORNI

Cinema e Musica

martedì  20:30

Dopo qualche anno di pausa torna la rassegna dedicata a Musica e Cinema. Stavolta non viene riproposta la varietà di generi musicali delle prime tre edizioni. Si è deciso di privilegiare documentari su alcune delle icone della musica rock e dintorni del secolo scorso. È l’occasione di ammirare e (ri)ascoltare personaggi stellari, che hanno fatto la storia della musica del ‘900 quali Frank Zappa, Leonard Cohen, Neal Young e Iggy Pop, senza dimenticare artisti importanti e di qualità quali Pino Daniele, Janis Joplin e Ryuichi Sakamoto. A loro modo tutti hanno contribuito a dare alla musica cosiddetta popolare uno spessore che oggigiorno si fa fatica a mantenere. Non è stato facile, come le altre volte, trovare film distribuiti in Svizzera e le richieste per i diritti internazionali è stata spesso lunga e difficoltosa o è rimasta senza risposta, ma anche stavolta siamo certi che gli appassionati non resteranno delusi da quanto verrà loro offerto. Abbiamo anche deciso per un’introduzione più breve del solito, con l’inserimento, per ogni film presentato, di testi più lunghi, data anche l’assenza, trattandosi di documentari musicali, di una sinossi vera e propria.

Giancarlo De Bernardi, Circolo del Cinema di Locarno

5.3.2024 | JANIS LITTLE GIRL BLUE

regia, soggetto e sceneggiatura: Amy Berg; fotografia: Francesco Carrozzini, Paula Huidobro, Jenna Rosher; musica: Janis Joplin, The Who, Jimi Hendrix e.a.; produttore: Amy Berg. Interpreti: Janis Joplin, Bob Weir, Melissa Etheridge.

v.o. inglese; st. tedesco, francese; colore; 103’ – documentario musicale

Un viaggio intimo e pungente dentro Janis Joplin. Janis: Little Girl Blue di Amy Berg non potrebbe essere descritto in modo diverso perché, in fondo, è così che è Janis. L’avventura comincia a Port Arthur, in Texas, una città così lontana dai cambiamenti epocali che stavano accadendo da non poter comprendere la libertà di pensiero di questa adolescente cicciottella e mascolina. È doloroso scoprire come le battaglie delle donne moderne per l’uguaglianza ma anche per il semplice desiderio di sentirsi belle, sono state anche le battaglie di una delle rock star più amate di sempre. È il 1967 quando la Joplin e la sua band si esibiscono al Monterey Pop Festival. La cantante ottiene il successo straordinario che ha sempre desiderato ma, paradossalmente, ammetterà che «più ci si avvicina alla fama più questa sembra perdere di significato». Ma nonostante questo, la cantante si sente pronta per fare il passo successivo e, con Sam Andrews, lascia i Big Brothers per formare un’altra band. Mentre Joplin raggiunge il successo, tuttavia, la paura del fallimento e il costante bisogno del riconoscimento altrui tornano ad impadronirsi di lei e non la lasceranno fino alla morte, in una stanza d’hotel, il 4 ottobre 1970. La sua voce è così potente da essere paragonata a quella di Billie Holiday e Aretha Franklin.

Pur utilizzando un approccio prettamente documentaristico, Amy Berg riesce a entrare negli angoli più bui dell’anima di Janis, il risultato è il racconto di una donna estremamente insicura e bisognosa del riconoscimento altrui ma coraggiosa e fedele a sé stessa. Le interviste dell’epoca e le testimonianze raccolte da amici e parenti non fanno che consolidare l’idea di questa duplicità forte e continua nell’animo della cantante. Allo stesso tempo, però, è facile capire come il fil rouge del documentario sia il senso quasi oppressivo di solitudine che la cantante ha portato sulle spalle per gran parte della sua vita. Amy Berg tratteggia un ritratto assolutamente umano con foto inedite della cantante da piccola e con frammenti del suo diario. Così la regista mette da parte la rockstar, lasciando lo spettatore faccia a faccia con Janis. (elaborato partendo dal testo di www.cinefilos.it)

12.3.2024 | RYUICHI SAKAMOTO: CODA

regia, soggetto e sceneggiatura: Stephen Nomura Schible; fotografia: Tom Richmond, Neo Sora;  Musica di Ryuichi Sakamoto, Yellow Magic Orchestra; montaggio: Hisayo Kushida, Yûgi Ohshige; produttori: Stephen Nomura Schible, Eric Nyari. Interpreti: Ryuichi Sakamto, Yellow Magic Orchestra /

v.o. giapponese, inglese; st. tedesco, francese; 100’ – documentario musicale.

La prima suggestione viene dall’incipit. Da Sakamoto che accarezza il legno di un pianoforte riemerso dallo tsunami di Fukushima. Da qui la riflessione sull’accordatura come inutile convenzione umana imposta ai materiali di cui sono fatti gli strumenti. Gli elementi naturali si modificano nel tempo e l’uomo prova a sottometterli alle proprie esigenze. Il pianoforte salvato dal maremoto sarebbe rimasto nella condizione in cui era stato trovato. In questa prima sequenza, vera e propria ouverture, il senso dell’operazione cinematografica di Schible. Una sorta di miracolo nell’apocalisse dello tsunami e la naturale salvezza dell’arte come viatico per la vita. Il film di Schible, che gira con maestria senza mai strafare e neppure osare, sa consegnare allo spettatore un profilo non banale del musicista giapponese. L’operazione riesce anche grazie alla piena disponibilità di Sakamoto. Autore di colonne sonore che hanno arricchito film come The Revenant o L’ultimo imperatore, pur nella sua ormai multiculturale formazione, non smette di amare il Giappone e la sua cultura. Testimonial di spicco del movimento antinucleare e oppositore delle politiche belliche del suo Paese, Ryuichi Sakamoto sembra volere riversare queste sue idee nella vita artistica che lo assorbe completamente. L’impressione che se ne ha guardando il film è proprio quella di un artista completamente assorbito dalla sua passione musicale. Schible, nel suo elegante incedere, fa emergere due profili particolarmente interessanti in rapporto al soggetto del suo lavoro. Il primo è quello della ricerca. Sakamoto è un vero e proprio ricercatore di suoni o, meglio, di sonorità celate. Il secondo è quello di avere colto l’artista nel momento dell’atto creativo. Non sempre è facile cogliere l’attimo, definitivo e cruciale in cui nasce un’opera, quell’affascinante lampo che si manifesta quando il nuovo interrompe ogni altro flusso comunicativo.Qui il regista nipponico prova a cogliere, al suo nascere, l’epifania artistica di Sakamoto. La sua macchina da presa assiste al formarsi della melodia attraverso le note che si susseguono sul pentagramma. Il passato riemerge nelle immagini di repertorio raccontandoci anche della sua esperienza da attore in Merry Christmas Mr. Lawrence (Furyo) di Nagisa Oshima. (www.sentieriselvaggi.it)

19.3.2024 | HALLELUJAH: LEONARD COHEN, A JOURNEY, A SONG

regia, soggetto e sceneggiatura: Daniel Geller, Dayna Goldfine; fotografia: Daniel Geller; musica: Leonard Cohen, John Lissauer; produttori: Daniel Geller, Danya Goldfine. Interpreti: Leonard Cohen, John Cale, Jeff Buckley, Steve Berkowitz.

v.o. inglese; st. francese; colore e bianco e nero; 118’ – documentario musicale

Nel percorso artistico di Leonard Cohen un suo brano è diventato un manifesto, Hallelujah, ed il film della coppia Daniel Geller, Dayna Goldfine, fuori concorso alla Mostra del Cinema di Venezia, cerca di ricostruirne la nascita e capirne la straordinaria diffusione. Questo inevitabilmente abbraccia l’intera carriera del cantante di origini ebree, un’origine importante da sottolineare perché nel suo caso ricca di spiritualità e fede. Una genesi musicale complessa, piena di ostacoli, dall’insicurezza giovanile allo scontro con produttori poco lungimiranti a fiutare il capolavoro, ma anche di amici fidati e persone entusiaste. Lo schema del documentario è quello classico, con l’uso del materiale d’archivio raccolto tra le performance in concerto e le dichiarazioni rilasciate in quaranta anni, e le interviste a figure legate professionalmente a Cohen, quali John Cale, John Lissauer, Sharon Robinson, Rufus Wainwright, Hal Willner, materiale strutturato per farne emergere lo spessore umano, legato a filo doppio con il cuore del poeta ispirato dei tempi universitari, dotato già di grande talento nel comporre dei versi. Dai reading in facoltà al pubblico piazzato a bordo palco il passo non è lungo, le parole del racconto rievocano l’approccio quasi mistico, l’abnegazione, il tentativo di ricercare quanto di buono ci passa davanti. L’elaborazione di Hallelujah è durata ben sette anni. Approvato per la produzione da Leonard Cohen poco prima del suo ottantesimo compleanno nel 2015, il film accede a una vasta gamma di materiali d’archivio mai visti prima, tra cui taccuini personali, diari e fotografie, filmati di performance e registrazioni audio e interviste estremamente rare. Il tempo della narrazione è cronologico, parte dagli esordi per arrivare ai saluti, consegnati alla leggenda da un album oscuro e premonitore, You Want It Darker, uscito a pochi giorni dalla morte, un intervallo molto ampio da riempire di ricordi, vicende e casualità, un mosaico multicolore tormentato da qualcosa di indefinito, un’inquietudine esistenziale, il bisogno di amare e farsi amare, i modi educati, la gentilezza congenita. Un viaggio, come recita il titolo, tra gioie e dolori, prima di staccarsi dal suo autore e diventare un brano diffuso in ogni dove. Si contano a centinaia le versioni, su tutte la cover struggente di Jeff Buckley arrivata a superare l’originale come notorietà ed il potere di generare altri discepoli tra generi diversi della galassia musicale, dal gospel, al rock al blues. (elaborato a partire dal testo di www.sentieriselvaggi.it)

26.3.2024 | YEAR OF THE HORSE

regia, soggetto e sceneggiatura: Jim Jarmusch; fotografia: Jim Jarmusch; musica di Neil Young; suono: John Hausmann; produttore: L.A. Johnson. Interpreti: Neil Young and Crazy Horse /

v.o. inglese; st. italiano; bianco e nero e colore; 106’ – documentario musicale

Il documentario, frutto del duraturo rapporto di amicizia e di stima reciproca tra Jim Jarmusch e Neil Young, si concentra in particolare sul tour del 1996 negli Stati Uniti e in Europa del grande musicista canadese con i suoi Crazy Horse, integrando i momenti musicali con i più disparati materiali girati tra il 1976 e il 1986, attraversando stanze d’albergo, discussioni animate, letture della Bibbia in pullman che culminano in graffianti definizioni della fede – «Dio è come…mi fa pensare a quando ho piantato degli alberi, non sono cresciuti come volevo e li ho tagliati tutti», dice Neil – discorsi dal sapore assai jarmuschiano sulla possibilità di suonare o meno con i Beatles, l’insolito set naturale di un anfiteatro del primo secolo A.C. per un concerto francese – «un luogo antico, ideale per dei vecchi con della vecchia e sporca attrezzatura», ironizza uno dei chitarristi che accompagnavano occasionalmente Neil Young in concerto, suggerendo però la coerenza con l’attitudine ruvida e genuina costantemente richiamata da testi e musica che per oltre 30 anni vengono portati in scena da quella che al di là di ogni retorica si definisce una ´famiglia´: un corpo unico, che sul palco crea tanta energia da rendere singolare e riconoscibile il proprio suono anche quando non è tecnicamente perfetto.

Year of the Horse, “l’anno del cavallo”, concetto che rappresenta, al di là dello zodiaco cinese, un’istanza di libertà e di apertura al mutamento, alterna bianco e nero a colore, lunghe fasi di concerto a brevi riprese dei lirici e grandi cieli americani, filmati d’epoca a interviste più recenti, realizzate in una stanza volutamente spoglia, arredata soltanto da una sedia, una lavatrice e una bombola di gas, riproducendo fedelmente anche nell’estetica l’approccio sporco e generoso che Neil Young ha sempre mantenuto nei confronti della musica e di una visione politica e sociale non condiscendente, in particolare con i Crazy Horse ma anche nel corso di una lunga carriera individuale in cui si è confrontato con ogni sorta di espressione, dal cantautorato blues al garage, dal folk rock alla psichedelia, dalla composizione di colonne sonore per il cinema (una lunga serie – tra cui le splendide atmosfere rarefatte e intense per Dead Man di Jarmusch) alle esperienze come attore, montatore, direttore della fotografia e regista (come in Greendale, film in super 8 che accompagna un concept album del 2003, riflessione su una comunità rurale e sulla difficoltà di mantenersi al riparo dalla corruzione e dal potere di una società schiacciante)…(www.sentieriselvaggi.it)