In Santiago, Italia, il suo documentario sui rifugiati cileni del periodo successivo al golpe contro Salvador Allende si vede lo stralcio di un dialogo in cui un vecchio signore intervistato dice: “Mi avevano detto che questa intervista sarebbe stata imparziale”, e Moretti risponde “Io non sono imparziale”: quello che ci incuriosisce di questo regista, è la sua opinione. Nanni Moretti è sempre al centro dei suoi film, anche quando non è il protagonista. Lo è quando sono protagoniste le sue inquietudini, le sue nevrosi, la sua ironia, le sue passioni e le sue ossessioni: il suo cinema è un cinema personale, è una concrezione cinematografica della sua soggettività. Quello che ci attrae del suo modo di fare arte è proprio questa totalità espressiva che si manifesta non solo attraverso il Moretti attore e regista ma anche in quell’uomo che è così palesemente messo a nudo, che si arrabbia come un pazzo e si ingozza di dolci.
La sua filmografia, infatti, si può leggere come una biografia divisa in quattro fasi diverse, ognuna delle quali modellata a seconda del periodo esistenziale che il regista stava vivendo. C’è un Moretti embrionale, quello dei cortometraggi difficilmente reperibili in Super8 alla Come parli frate? che lo portano fino al primo inaspettatamente acclamato lungometraggio, Io sono un autarchico, anch’esso irreperibile.
La seconda fase prende una piega più distaccata. Da Bianca in poi, infatti, sembra quasi che attraverso l’uso di trame più lineari e di soggetti meno autobiografici per il regista sia ancora più semplice dare una forma alla rappresentazione di sé. Qui vediamo Moretti che si traveste da maniaco ossessivo, incapace di amare se non attraverso il controllo opprimente delle vite degli altri. Il film è disseminato di indizi che riconducono alla personalità del regista, dalla passione a tratti patologica per i dolci – già più volte rappresentata – del famoso “Lei non faccia il tunnel”, all’attenzione malata per le scarpe. Michele Apicella abbandona per poco la scena e diventa Don Giulio de La messa è finita, ma il carattere rimane praticamente sempre quello, dalla rigidità di giudizio alla smania di controllare gli altri, fino all’incomunicabilità familiare.
Con gli anni Novanta ha inizio la terza fase, che è quella dove Michele Apicella muore e Moretti non ha più bisogno di un alias per parlare di sé. Caro diario è un racconto in prima persona del regista, un giro in Vespa attraverso una Roma personale, non quella della cinematografia classica ma la versione molto più intima dei luoghi eletti senza necessità di adeguarsi al cliché. Un percorso nel quale ci facciamo guidare senza indugi, con la dose consueta di ironia – quella dei figli unici a Salina, per esempio, o della recensione a Harry a pioggia di sangue – nella parte più inquietante che riguarda la sua malattia, con i filmati e le occhiaie vere della chemio. Aprile celebra ancora di più questa dimensione privata, che ci guida nell’evento cruciale della nascita di un figlio, oltre che nell’auto-citazione di quel famoso pasticciere trotskista. E poi, ovviamente, c’è la politica, ci sono le canne davanti alla tv e al trionfo di Berlusconi, c’è D’Alema e la sua “cosa di sinistra” che non viene proprio fuori. Il film non è solo un diario della propria vita, ma è anche un monito alla fase storica in cui è ambientato, la fine di un secolo e l’inizio di una lunga notte. E poi, con gli anni Duemila, con l’ultimo blocco di film Moretti torna a parlare di altro per parlare di sé, ma questa volta in modo più rarefatto, meno percettibile, forse più maturo, con meno impulso alla verbosità arrabbiata del “Io non parlo di cose che non conosco”. La stanza del figlio esorcizza una paura ancestrale, quella di un padre che perde un figlio, mentre Il caimano si impone come necessità in periodo di berlusconismo spietato e selvaggio. Ma la vera svolta avviene con Habemus Papam, in cui Moretti riesce ad accontentare Dino Risi e a eclissarsi per quasi tutto il film, fungendo solo da ruolo strumentale per una trama che ha tutta l’intensità di una riflessione adulta e tragica. La profezia delle dimissioni del Papa passa in secondo piano, per quanto sorprendente – così come quella di Palombella rossa o de Il caimano – se ci concentriamo sulla delicatezza di un film che riesce a dare forma alla nevrosi matura di un uomo che si domanda la cosa più banale, ma anche quella più imperscrutabile: a cosa serviamo noi? E poi, alla fine, arriva Mia Madre, dove non c’è spazio per il ragazzo acido e rissoso né per Michele Apicella e neppure per i giri in Vespa, ma solo quella che forse è la forma più pura in assoluto in cui Nanni Moretti ha deciso di rappresentarsi, perché anche nella scelta di affidare a una donna la parte di sé stesso si rivela una parte di lui.
E infine Tre piani, in cui Moretti per la prima volta mette in scena la storia di Eshkol Nevo traslocandola a Roma con padri rigidi, mariti assenti, donne che amano troppo, fantasmi borghesi. Ritroviamo in questo film un tema ricorrente nella sua filmografia, forse decisivo per comprenderne l’evoluzione: la responsabilità verso i figli. E dunque il dovere di educarli, la paura di perderli, la speranza di ritrovarli. Il giovane incazzato verso una o più generazioni di adulti da accusare: la sfuriata sul corpo della madre suicida in La messa è finita, il rimpianto rabbioso verso i ricordi d’infanzia in Palombella rossa, con Aprile e il racconto della nascita del figlio Pietro è diventato un genitore che sente il bisogno di tematizzare le sue paure, la morte La stanza del figlio, la separazione Il caimano, la solitudine dopo la morte della madre Mia Madre.
Da Il cinema di Nanni Moretti è un cinema personale, ed è bello per questo di Alice Oliveri in www.thevision.com e Roberto Manassero in Cineforum.
A cura di Mariano Morace.
con: Nanni Moretti, Fabio Traversa, Luisa Rossi, Lina Sastri, Glauco Mauri, Piero Galletti.
v.o. italiano, 103’ – Italia 1978
Avete citato più spesso «Faccio cose, vedo gente» (sintesi, passata però alla memoria, del più lungo «Giro, vedo gente, mi muovo, conosco, faccio delle cose») o «Te lo meriti Alberto Sordi!»? «Mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte o se non vengo per niente?». Probabilmente tutte. È (anche) da questo che si stabilisce ancora oggi la
statura di uno dei più grandi instant classici generazionali di tutti i tempi. All’opera seconda, Moretti racconta «il luogo dove io vivevo e frequentavo amici» (ipse dixit), cioè il quartiere Prati di Roma tra “padri” borghesi (quello del film è Luigi, il vero genitore del regista) e gioventù ribelle ma sfaticata. Illusioni, insicurezze, debolezze: il futuro (non) è nei giovani, e mai autocritica è stata al tempo stesso più tenera e feroce. Un manifesto, punto.
con: Nanni Moretti, Marco Messeri, Ferruccio De Cerasa, Margherita Lozano, Eugenio Masciari.
v.o. italiano, 94′ – Italia 1985
Uno dei film più ispirati, lucidi, “teorici” (e colpevolmente dimenticati) del nostro è la parabola di don Giulio, il sacerdote (interpretato dallo stesso regista) che ritorna da un’isola lontana nella sua Roma e si rende conto di essere del tutto impotente di fronte alle scelte di vita dei suoi parrocchiani, ma anche dei suoi parenti e amici. E delle sue.
Anche questo letterale “atto di fede” (nel cinema, prima di tutto) è un’allegoria forte e chiara, ma senza la pedanteria dei simboli. Questa fa anzi l’effetto di una storia possibile e quotidiana, che proprio grazie alla sua semplicità tocca corde profondissime. Non a caso, è anche uno dei film dell’autore in cui è più difficile scovare battute da citare: un capolavoro unico, ma perfettamente inserito nella carriera di Moretti. Ieri come oggi.
con: Nanni Moretti, Mariella Valentini, Silvio Orlando, Asia Argento, Daniele Luchetti, Marco Messeri, Giovanni Buttafava.
v.o. italiano, 89’ – Italia 1989
“E ti vengo a cercare”: il leitmotiv di Franco Battiato è il refrain in cui si specchia la ricerca d’identità non solo del protagonista colto da amnesia, ma soprattutto quella della sinistra che ha smarrito se stessa. Michele Apicella/Nanni Moretti stavolta è un funzionario del PCI (nonché giocatore di pallanuoto, da cui il titolo: la “palombella”
è il nome tecnico di un pallonetto pressoché impossibile) che fa di tutto per ritrovare la memoria perduta. Attraverso le cose che “non torneranno più”: le merendine, i pomeriggi di maggio, la mamma, l’amore di Živago per Lara (in uno dei sogni di finale alternativo più commoventi di sempre). «Chi parla male pensa male e vive male. Bisogna trovare le parole giuste: le parole sono importanti!»: Nanni, ancora una volta, trova quelle perfette, per raccontare se stesso e il mondo. Il suo, il nostro.
con: Nanni Moretti, Silvia Nono, Renato Carpentieri, Antonio Neiwiller, Giulio Base.
v.o. italiano, 100’ – Italia 1993
Il migliore film di Nanni Moretti? Di certo la quintessenza del suo cinema, della sua poetica, finanche di se stesso. Quindi, in definitiva: sì. Tre episodi (In Vespa, Le isole, Medici) per catalogare ispirazioni, fughe, desideri, paure. Ma anche cosa sono i film (e cosa vuol dire realizzarli), cosa significa invecchiare, come (non) si crescono i figli, quanto fa paura la malattia. Un’opera stilizzata e insieme completa, ricchissima, visivamente e intimamente generosa.
Con pezzi di cinema enormi: la Vespa in giro per l’assolata Roma agostana, le Eolie come spazio più mentale che geografico, il cammeo di Jennifer Beals (proprio lei). «Stavo pensando una cosa molto triste, cioè che io, anche in una società più decente di questa, mi ritroverò sempre con una minoranza di persone»: ma il suo cinema apparentemente per pochi ormai è diventato di tutti. La certificazione di Moretti come Autore maiuscolo, sconfitto a Cannes (ma da Pulp Fiction) e però ormai riconosciuto come maestro internazionale. Altro che pensierini sul diario.
con: Nanni Moretti, Laura Morante, Jasmine Trinca, Giuseppe Sanfelice, Stefano Accorsi, Silvio Orlando.
v.o. italiano, 100’ – Italia 2001
Uno dei film più di “fiction” di Moretti si traduce in uno dei suoi maggiori successi. La Palma d’oro a Cannes è solo la punta di un fenomeno che ha infiammato il dibattito (non solo) intellò nell’Italia d’inizio 2000: nel Paese in cui la morte è un tabù da sempre e per sempre, Nanni porta la sua versione laica attraverso lo straziante ritratto famigliare da cui viene prematuramente cancellato un ragazzo troppo giovane.
Cinema classico, raggelato ma mai freddo, personale e insieme universale. Ma si riconoscono i lampi dell’autore: dai simboli come la teiera sbeccata all’ironia data in mano ai pazienti dello psicanalista protagonista (lo stesso regista). Oltre alla capacità di scoprire nuovi talenti (la giovane Jasmine Trinca, al suo folgorante esordio) e indovinare la selecta musicale: da “Insieme a te non ci sto più” di Caterina Caselli, cantata a squarciagola in macchina, alla struggente “By This River” di Brian Eno, (ri)diventata un cult.
con: Nanni Moretti, Silvio Orlando, Margherita Buy, Jasmine Trinca, Giuliano Montaldo, Michele Placido, Valerio Mastrandrea, Paolo Sorrentino, Elio De Capitani, Matteo Garrone.
v.o. italiano, 112’ – Italia, Francia 2006
Dopo aver parlato alla “sua” sinistra – dal documentario La cosa sulla riforma del PCI al mitico appello a D’Alema di Aprile –, Moretti affronta il nemico. E lo guarda direttamente in faccia. Il “caimano” Silvio (dal soprannome affibbiato all’allora premier dal giurista Franco Cordero) è sia il vero Berlusconi sia quello finto (un eccezionale Elio
De Capitani), protagonista del soggetto cinematografico che il produttore in crisi di film trash come Cataratte e Maciste contro Freud Bruno Bonomo (Silvio Orlando) accetta di far girare a una giovane regista (Jasmine Trinca). La giustizia ma senza giustizialismo, le virtù ma anche i vizi degli anti-berluscones, pure le famiglie arcobaleno. E un omaggio al cinema che racconta la società, vedi anche i cammei di colleghi illustri come Paolo Virzì, Paolo Sorrentino, Matteo Garrone, Giuliano Montaldo e tanti altri. E mette a segno un’altra mossa da vero veggente: il processo finale in cui è Nanni a dare il volto a Silvio. Maciste contro Freud, per davvero.
con: Michel Piccoli, Jerzy Stuhr, Renato Scarpa, Franco Graziosi, Camillo Milli, Roberto Nobile, Nanni Moretti.
v.o. italiano, 104’ – Italia, Francia 2011
Altro giro, altra profezia. Quella del pontefice “per caso” (un immenso Michel Piccoli) che vuole abdicare al suo ruolo. Succederà davvero nella realtà, ma a Moretti la metafora qui serve soprattutto per descrivere un’impossibile presa di coscienza e di
maturità, anche rispetto a quello che un regista può/vuole raccontare. Riservandosi – anche stavolta freudianamente – la parte dello psicanalista, Nanni piazza un’opera insieme immaginifica e concreta, lirica e umana, spirituale e terrena. E, al solito, non priva di uno humour fulminante: vedi il torneo di pallavolo tra cardinali. “Todo cambia”, canta Mercedes Sosa nel brano scelto come tema portante della colonna sonora: il suo cinema invece cambia sempre per non cambiare mai. Per fortuna.
con: Margherita Buy, John Turturro, Giulia Lazzarini, Nanni Moretti, Beatrice Mancini, Stefano Abbati.
v.o. italiano, 106’ – Italia, Francia, Germania 2015
Per affrontare il suo film più intimo e doloroso, Nanni si fa da parte. Una scelta comprensibile (e sorprendentemente pudica), che forse rende però più debole il transfert dello spettatore dentro il suo film, visto che di (auto)analisi si tratta.
Il regista che affronta la malattia e la morte della madre (una meravigliosa Giulia Lazzarini) diventa una donna (l’ormai presenza fissa Margherita Buy), mentre l’autore reale si riserva il ruolo del fratello che – appunto – fugge dalla sofferenza. Non più l’elaborazione di un lutto, ma la sua anticipazione: in questo senso, il film diventa ancora più sensibile e sottile de La Stanza del figlio. Memorabili le sequenze di film-nel-film diretto dalla protagonista, e interpretato da John Turturro.
con: Nanni Moretti.
v.o. italiano, 80’ – Italia 2018
Misuratosi già nel documentario trent’anni fa con La cosa, dedicato alla fine del Partito Comunista Italiano, Moretti torna alla cronaca politica nel suo ultimo lavoro, che avrebbe meritato di più (nonostante la vittoria del David di Donatello). Più che il golpe in Cile del 1973 che “depose” il presidente Salvador Allende, al film importa il ruolo
giocato all’epoca dall’ambasciata italiana a Santiago, e il conseguente arrivo nel nostro Paese di centinaia di oppositori in fuga dal regime di Pinochet. Una storia di accoglienza e integrazione in tempi in cui questi sentimenti non sembrano andare più di moda. Ma, come Nanni ci ha sempre insegnato, senza retorica. Anzi, con uno sguardo che è ancora una volta assolutamente personale: «Io non sono imparziale». Più che una semplice battuta, una filosofia di vita. E di cinema.
con: Riccardo Scamarcio, Margherita Buy, Alba Rohrwacher Adriano Giannini, Elena Lietti, Nanni Moretti.
v.o. italiano, 119’ – Italia 2021
Un film corale e polifonico. Uno sguardo profondo e disincantato su un’umanità sola, assente, logorata, prigioniera delle sue stesse ossessioni. Attraversato dal malessere, dal disagio, dal sospetto, quello di Moretti è un film fatto di colpe e di accuse infondate, di abbracci e separazioni, di strappi e nuovi inizi: l’affresco del tempo che siamo, tra responsabilità non differibili (come quella di essere genitori) e scelte che
pesano (tremendamente) anche sulla vita degli altri. Il mondo in un condominio: tre piani, sì, ma anche tre movimenti, di cinque anni in cinque anni. Tra padri convinti che l’anziano vicino di casa gli abbia molestato la figlia, mariti che non sono mai a casa, famiglie che vanno in mille pezzi… Ambientato a Roma (da Tel Aviv) il romanzo dell’israeliano Eshkol Nevo, di cui esalta le tematiche universali, Moretti favorisce i sentimenti: e, messo ordine tra le cose che non cambiano mai, gira un film, “prima che sia tutto diverso”, sulla necessità di perdonare e sul dovere di perdonarsi. Che la vita spesso è un abito nero, ma a volte anche uno a fiori.