OMAGGIO A ALAIN TANNER

in collaborazione con la Cinémathèque suisse

martedì  20:30

UN OMAGGIO DOVUTO

Lo scorso autunno, a pochi giorni di distanza l’uno dall’altro, sono venuti a mancare sulle rive del Lemano due registi, ultranovantenni e quasi coetanei, che hanno lasciato segni indelebili nella storia del cinema: Jean-Luc Godard in quella del cinema francese e mondiale; Alain Tanner, perlomeno, in quella del cinema svizzero. Del primo se ne è parlato e scritto abbondantemente, del secondo molto meno. Chiaro che l’importanza di Godard, attivo fino all’ultimo, è stata fondamentale (anche se poi sono ben pochi quelli che hanno saputo seguire e capire la sua costante ricerca sul linguaggio audiovisivo, soprattutto nell’ultima fase della sua carriera). Tanner invece, ritiratosi disilluso dal cinema dopo il testamento di Paul s’en va (2003), è stato un po’ dimenticato, e nel milieu del cinema svizzero, affollato di giovani registi rampanti, è ben raro sentirlo ancora nominare. Eppure è anche a lui (e ai suoi compagni del Groupe des 5) che si deve la nascita del Nuovo cinema svizzero, la nostra tardiva Nouvelle Vague che attorno al Sessantotto ha cominciato a rappresentare la Svizzera non più come un’isola felice, ma come un paese ipocrita e tristemente conformista, da cui chi cercava la propria libertà sentiva il bisogno di evadere. E l’ha fatto con un linguaggio cinematografico che rompeva completamente con quello del passato, così come la Nouvelle vague francese (Godard in testa) aveva fatto con il “cinéma de papa”.
Chi era giovane nel nostro Paese negli anni Sessanta-Settanta è cresciuto (anche) con i film di Alain Tanner, ha attraversato le stesse inquietudini e lo stesso malessere dei suoi personaggi, ne ha condiviso le utopie, ha sognato con loro di uscire da una realtà meschina per trovare altri luoghi, altri mondi. Per alcuni, poi risucchiati nel sistema, si è trattato di uno smarrimento momentaneo, per altri di una condizione permanente. Come per Tanner stesso, sempre rimasto eticamente fedele alla sua visione della realtà e alla sua idea di cinema, che non è mai stata quella di raccontare una vicenda, ma piuttosto quella di esplorare con le giuste inquadrature lo stato delle cose, del mondo e della gente che lo abita. Un cinema che rifiuta sia la narrazione classica sia il didascalismo ideologico, ma che intende rappresentare desideri, paure, incertezze di persone inserite in uno spazio, in un contesto che può essere soffocante o ricercato come liberatorio.
Il punto di partenza è il realismo: l’amore dichiarato per il neorealismo italiano, i primi documentari (Nice Time con Claude Goretta sulla vita notturna di Piccadilly Circus, Les apprentis, Une ville à Chandigarh). Poi la continua ricerca di un’estetica personale perseguita con coerente tenacia, di un cinema “di poesia”, che si può dire sempre pervaso di una malinconica ironia.
Questo omaggio postumo glielo dobbiamo, a Alain Tanner, che ci ha accompagnato nei nostri percorsi esistenziali, con la speranza che il suo cinema possa essere scoperto anche da chi è nato come Jonas negli anni ‘70 o nei decenni successivi e si ritrova vivere oggi in un mondo non certo migliore di quello di allora. Un omaggio che va anche al “nostro” Renato Berta, direttore della fotografia di ben cinque degli undici film in programma. E ringraziamo sentitamente la Cinémathèque suisse, che ci ha messo a disposizione la maggior parte dei film che presentiamo in copie digitali restaurate.

Michele Dell’Ambrogio Circolo del cinema Bellinzona

10.1.2023 | CHARLES MORT OU VIF

soggetto e sceneggiatura: Alain Tanner; fotografia: Renato Berta; montaggio: Sylvia Bachmann; musica: Jacques Olivier; interpreti: François Simon, Marie-Claire Dufour, Marcel Robert, Maya Simon, André Schmidt, Jo Escoffier, Walter Schochli…; produzione: Groupe 5/SSR.

v.o. francese, st. tedesco/inglese, bianco e nero, 90’ – Svizzera 1969

Pardo d’Oro, Locarno 1969

Charles D., ricco industriale nel campo orologiero, cade in una profonda crisi esistenziale e decide di abbandonare l’azienda e la famiglia. Il suo vagabondaggio lo porta dapprima in diverse pensioni, poi troverà alloggio e serenità come ospite di una coppia anarcoide nella campagna ginevrina. Ma alla famiglia e alla società non piace questa sua ritrovata libertà…

Tanner, per il suo primo lungometraggio, si ispira a una storia vera e rappresenta una Svizzera grigia e disperata, allora controcorrente. Costruito come una specie di “poema contestatario, corrosivo ma con molta tenerezza e malinconico quasi fino alla disperazione” (Detassis), il film, scritto dopo lunghe discussioni con John Berger, traccia senza nessuna condiscendenza il bilancio di un sessantenne che è poi quello di un Paese, lacerato tra il desiderio di ricominciare da zero e la realtà mediocre e grigia. Indimenticabile il viso del protagonista, figlio di Michel Simon.

(da Il Mereghetti. Dizionario dei film 2019, Milano, Baldini+Castoldi, 2018)

17.1.2023 | LA SALAMANDRE

sceneggiatura: Alain Tanner e John Berger; fotografia: Renato Berta, Sandro Bernardoni; montaggio: Brigitte Sousselier, Marc Blavet; musica: Patrick Moraz, Main Horse Airline; interpreti: Bulle Ogier, Jean-Luc Bideau, Jacques Denis, Dominique Catton, Guillaume Chenevière… ; produzione: Alain Tanner, Gabriel Auer per Svociné, Genève.

v.o. francese, st. italiano, bianco e nero, 123’ – Svizzera 1971

Premio OCIC, Forum of New Cinema, Berlinale 1971

Con l’aiuto dell’amico Paul, il giornalista Pierre deve scrivere una sceneggiatura televisiva sul caso di Rosemonde, una ragazza accusata di aver sparato allo zio, ma assolta per insufficienza di prove. I due hanno metodi diversi, ma nessuno dei due finirà la sceneggiatura. In compenso Rosemonde avrà imparato che la passività e la ribellione sono armi a doppio taglio.

Il secondo film di Tanner, scritto insieme a John Berger, è un “poemetto anarchico e dal respiro libero” (Detassis), dove confluiscono le sue esperienze autobiografiche – e contraddittorie – all’interno della televisione e la voglia di mettere a punto una sintassi cinematografica più libera e personale per offrire il ritratto di una donna insoddisfatta della propria vita e del mondo in cui vive, ma dotata comunque di una vitalità con cui saprà contagiare i due sceneggiatori.

(da Il Mereghetti, cit.)

24.1.2023 | LE RETOUR D'AFRIQUE

sceneggiatura: Alain Tanner (poesie di Aimé Césaire); fotografia: Renato Berta e Carlo Varini; montaggio: Brigitte Sousselier, Marc Blavet; musica: Johann Sebastian Bach; interpreti: François Marthoret, Josée Destoop, Juliet Berto, Anne Wiazemsky, André Schmidt…; produzione: Alain Tanner per Groupe 5/SSR/Filmanthrope, Paris.

v.o. francese, st. italiano, bianco e nero, 110’ – Svizzera/Francia 1973

Premio della Giuria ecumenica, Berlino 1973

Françoise e Vincent sono sposati da due anni. Lui è agricoltore, lei segretaria in una galleria d’arte. Ambedue vorrebbero partire, abbandonare la vita grigia e monotona di Ginevra. Quando un amico promette loro un lavoro in Algeria, decidono di vendere tutto e raggiungerlo. Alla vigilia della partenza, però, un telegramma li invita a pazientare in attesa di ulteriori spiegazioni. L’attesa è lunga e i due, per non essere derisi, si rinchiudono in una soffitta…

Il terzo film di Tanner mette in scena personaggi che vivono male nella loro pelle, nella loro città (qui Ginevra), nella loro cellula sociale, che sognano “un altrove” o dell’altro, che vogliono cambiare vita (…) Constatazione di un fallimento? No, tutt’al più la fine di una chimera. Al loro “ritorno dall’esilio”, cioè al termine della loro clausura, Françoise e Vincent comprendono che l’evasione sognata era vana, che nel mondo moderno tutto è uguale ovunque, e che il vero problema è quello di lottare sul posto contro l’immobilismo, l’intorpidimento, la paura del futuro…

(Jean de Baroncelli, “Le Monde”, 22 settembre 1973)

31.1.2023 | JONAS QUI AURA 25 ANS EN L'AN 2000

sceneggiatura: Alain Tanner e John Berger; fotografia: Renato Berta; montaggio: Brigitte Sousselier; musica: Jean-Marie Sénia; interpreti: Jean-Luc Bideau, Myriam Boyer, Jacques Denis, Roger Jendly, Dominique Labourier, Myriam Mézières, Miou-Miou, Rufus…; produzione: Yves Gasser e Yves Peyrot per Citel Films Genève/SSR/Action Films Paris/Société Française de Production.

v.o. francese, colore, 110’ – Svizzera/Francia 1976

Premio National Society of Film Critics (NSFC) 1977 per la miglior sceneggiatura, Premio Città di Valladolid, Valladolid International Film Festival 1977

La vita di Mathieu e Mathilde, che aspettano un bambino che si chiamerà Jonas e si augurano possa vivere in un mondo migliore del loro, si intreccia con quella di altri sei personaggi: una coppia di contadini, un professore di storia, un ex militante in crisi, una fanatica dell’induismo, una cassiera al supermarket e un ferroviere in pensione…

In una forma antirealistica e fantasiosa, Tanner e lo sceneggiatore inglese John Berger descrivono con tenerezza la “generazione che ha fatto il Sessantotto e che ha la testa nell’utopia e i piedi nella realtà (Detassis) affrontando il nodo su cui si sono infranti tanti sogni (come far coincidere ideali e quotidianità). E lo fanno con una vitalità e una generosità che non aiuta certo a trovare la soluzione ai problemi ma indubbiamente contribuisce a credere che una via d’uscita ci dev’essere.

(da Il Mereghetti, cit.)

7.2.2023 | LES ANNÉES LUMIÈRE

sceneggiatura: Alain Tanner, dal romanzo di Daniel Odier La voie sauvage; fotografia: Jean-François Robin; montaggio: Brigitte Sousselier; musica: Arié Dzierlatka; interpreti: Trevor Howard, Mike Ford, Bernice Stegers, Henry Virlogeux, Odile Schmitt, Louis Samier, Joe Pilkington, John Murphy…

v.o. francese, st. italiano, colore, 105’ – Francia/Svizzera 1981

Premio della Giuria, Cannes 1981

Jonas abbandona la città e inizia un difficile rapporto con il vecchio “eremita” e strano collezionista Yoshka che gli chiede , una volta morto, di continuare le sue ricerche sul volo.

A mezza strada tra il realismo e il magico, e formalmente spesso stupendo per i paesaggi irlandesi che lo incorniciano, il racconto ha molte virtù. Disvela progressivamente i personaggi con spontanea fluidità narrativa, propone il superamento del conflitto generazionale con un apologo su padri e figli di elementare ironia, si avvale di un’ispirata armonia figurativa che concorre al lirismo della fiaba puntando più sull’immagine (e il sonoro) che sulla parola, e dà modo a Trevor Howard di calarsi in un ruolo che gli sta a pennello, tutto ruvido e fantastico, in contrappunto con quello del giovane Mick Ford. Frutto nobile dell’immaginazione di Alain Tanner, Les années lumière è un film di poesia, ambientato nel Duemila ma fertile già oggi.

(Giovanni Grazzini, “Corriere della Sera”, 26 novembre 1982)

Per Les années lumière non siamo purtroppo riusciti a risalire agli aventi diritto, ma rimaniamo comunque disponibili a soddisfare richieste in tal senso.

  

14.2.2023 | DANS LA VILLE BLANCHE

soggetto: Alain Tanner; fotografia: Acacio de Almeida; montaggio: Laurent Uhler; musica: Jean-Luc Barbier; interpreti: Bruno Ganz, Teresa Madruga, Julia Vonderlinn, José Carvalho, Francisco Baiao…; produzione: Alain Tanner, Paulo Branco, Antonio Vaz da Silva per Filmograph Genève/Metro Filme Lisboa.

v.o. francese/portoghese, st. italiano, colore, 108′ – Svizzera/Portogallo 1983

Premio César 1983

Un uomo di mare in crisi si rifugia a Lisbona, la “città bianca” del titolo, riprende ciò che vede in super8, ha una storia con la cameriera dell’alberghetto in cui vive, ma continua a pensare alla moglie Elisa rimasta in Svizzera.

Dans la ville blanche è un blues sul mare e su Lisbona, città di mare. È un film sul tempo e sullo spazio, dunque sul cinema, che ha le cadenze di sogno, anzi di una “rêverie”, di un sogno ad occhi aperti. È come un blues sostenuto dalla voce struggente di un sassofono, ma con la sordina, che ha la malinconia, ma sommessa, di un “fado” lusitano. Film nato senza una sceneggiatura, sull’onda intermittente dell’improvvisazione (Tanner: “Se avessi scritto una sceneggiatura, avrei aggiunto del ‘senso’… e quel che volevo, questa volta, non era il senso, era la materia…”). Dans la ville blanche è un documentario su Lisbona, ma soprattutto su Bruno Ganz che, pur avendo “poco da fare”, sorregge con la sua presenza magnetica tutto il film. Ma tenete d’occhio anche Rose, la bruna Teresa Madruga: non s’incontrano spesso donne così vere sullo schermo.

(Morando Morandini, “Il Giorno”, 27 agosto 1983)

21.2.2023 | L'HOMME QUI A PERDU SON OMBRE

sceneggiatura: Alain Tanner; fotografia: José Louis López-Linares; montaggio: Monica Goux; musica: Arié Dzierlakta; interpreti: Dominic Gould, Francisco Rabal, Angela Molina, Valeria Bruni-Tedeschi…; produzione: Tornasol Films Madrid/Filmograph Genève/Gemini Films Paris.

v.o. francese, st. italiano, colore, 102’ – Svizzera/Spagna/Francia 1991

Premio miglior attore a Francisco Rabal e Premio Turia  come miglior regista straniero a Alain Tanner – Montréal World Film Festival

Antonio, vecchio comunista andaluso, è tornato nel proprio paese dopo un lungo esilio in Francia e ospita Paul, che si è rifugiato a casa sua dopo essersi fatto cacciare dal giornale in cui lavorava. Antonio pensa che Paul abbia perduto la propria ombra, perché non ha più idee, non sa più perché si fanno le cose. Intanto due donne sono sulle tracce di Paul: Anne, sua attuale compagna, e Maria, la precedente.  Poi Antonio scomparirà, e con lui scompare tutto un pezzo di storia, quello delle utopie sociali. Paul ha sì perduto la propria ombra, ma non quella che credeva Antonio. Era lui, Antonio, l’ombra di Paul.

La chiave della storia va cercata nel filosofo Jean Baudrillard, del quale Tanner cita questa frase in epigrafe: “Ogni cosa che perde la propria essenza è come un uomo che ha perduto la sua ombra” (…) Il problema del film è forse lo stesso del breve romanzo di Chamisso (L’homme qui a perdu son ombre è anche il sottotitolo del famoso Peter Schlemihl di Chamisso), e cioè una certa incapacità a comunicarci questo sentimento tragico, questa sensazione di disastro che si deve provare nel “perdere la propria ombra”.

(Claude Baignères, “Le Figaro”, 25-26 gennaio 1992)