ROBERTO ROSSELLINI

1945 -1959

ORE 20:30

“Hanno detto, scritto e ripetuto in tutti i toni che io ho scoperto una nuova forma di espressione: il neorealismo. È certamente vero poiché, su questo punto, tutti i critici sono d’accordo e nessuno ha mai ragione contro l’opinione generale. Ma non riesco facilmente a lasciarmi convincere. Questo termine di neorealismo è nato con Roma città aperta. Successo a scoppio ritardato, come le bombe dello stesso nome. Quando fu presentato a Cannes nel 1946, il film passò totalmente inosservato. L’hanno scoperto molto più tardi e inoltre non sono sicuro che abbiano ben compreso le mie intenzioni. In quell’occasione mi hanno battezzato l’inventore del neorealismo italiano. Che cosa significa? Io non mi sento affatto solidale con i film che si fanno nel mio paese. Mi sembra evidente che ciascuno possiede il suo proprio realismo e che ciascuno stima che il suo sia il migliore, me compreso. Il mio ‘neorealismo’ personale non è nient’altro che una posizione morale che si può spiegare in tre parole: l’amore del prossimo” (1).

Una posizione morale che consiste nel mettersi a guardare obiettivamente il mondo e le vicende umane, senza portare su di esse nessun giudizio, “perché le cose, in sé, hanno il loro giudizio” (2); e rifiutando drasticamente la tentazione della spettacolarizzazione, perché “oggetto del film realistico è il ‘mondo’, non la storia, non il racconto” (3). Sarà lo stesso Rossellini a far notare a chi considerò Roma città aperta come la rivelazione di una nuova tendenza del cinema italiano, che il neorealismo nacque in effetti già anni prima, nel bel mezzo della seconda guerra mondiale, grazie ai suoi film precedenti, da lui stesso definiti “documentari romanzati”:

La nave bianca (1941), sul mondo dei feriti su una nave ospedale, Un pilota ritorna (1942), su un pilota fatto prigioniero dagli inglesi, e L’uomo della croce (1943), ambientato durante la campagna di Russia. Certo, Rossellini era ancora in parte prigioniero di quella retorica del fascismo che tendeva a infarcire l’osservazione del reale con artifici spettacolari, ma già si poteva intravvedere, in questi film che costituiscono la “trilogia della guerra fascista”, la sua tendenza ad osservare con sguardo documentaristico l’umanità e la semplicità degli umili, magari senza rendersi ben conto che anche questo poteva servire alla propaganda di un regime che si avviava verso la crisi. E un certo neorealismo in nuce era rintracciabile, sempre secondo Rossellini, anche in certi film (di Mario Bonnard, di Mario Mattoli…) interpretati con creatività tutta romanesca da Anna Magnani e da Aldo Fabrizi, che non a caso ritroveremo come interpreti di Roma città aperta. E da parte nostra non possiamo non citare Ossessione di Visconti (1943), tradizionalmente considerato il primo vero film neorealista, anche se Rossellini forsecitare Ossessione di Visconti (1943), tradizionalmente considerato il primo vero film neorealista, anche se Rossellini forse.

18.09.2016 | nome

“Hanno detto, scritto e ripetuto in tutti i toni che io ho scoperto una nuova forma di espressione: il neorealismo. È certamente vero poiché, su questo punto, tutti i critici sono d’accordo e nessuno ha mai ragione contro l’opinione generale. Ma non riesco facilmente a lasciarmi convincere. Questo termine di neorealismo è nato con Roma città aperta. Successo a scoppio ritardato, come le bombe dello stesso nome. Quando fu presentato a Cannes nel 1946, il film passò totalmente inosservato. L’hanno scoperto molto più tardi e inoltre non sono sicuro che abbiano ben compreso le mie intenzioni. In quell’occasione mi hanno battezzato l’inventore del neorealismo italiano. Che cosa significa? Io non mi sento affatto solidale con i film che si fanno nel mio paese. Mi sembra evidente che ciascuno possiede il suo proprio realismo e che ciascuno stima che il suo sia il migliore, me compreso. Il mio ‘neorealismo’ personale non è nient’altro che una posizione morale che si può spiegare in tre parole: l’amore del prossimo” (1).

Una posizione morale che consiste nel mettersi a guardare obiettivamente il mondo e le vicende umane, senza portare su di esse nessun giudizio, “perché le cose, in sé, hanno il loro giudizio” (2); e rifiutando drasticamente la tentazione della spettacolarizzazione, perché “oggetto del film realistico è il ‘mondo’, non la storia, non il racconto” (3). Sarà lo stesso Rossellini a far notare a chi considerò Roma città aperta come la rivelazione di una nuova tendenza del cinema italiano, che il neorealismo nacque in effetti già anni prima, nel bel mezzo della seconda guerra mondiale, grazie ai suoi film precedenti, da lui stesso definiti “documentari romanzati”:

La nave bianca (1941), sul mondo dei feriti su una nave ospedale, Un pilota ritorna (1942), su un pilota fatto prigioniero dagli inglesi, e L’uomo della croce (1943), ambientato durante la campagna di Russia. Certo, Rossellini era ancora in parte prigioniero di quella retorica del fascismo che tendeva a infarcire l’osservazione del reale con artifici spettacolari, ma già si poteva intravvedere, in questi film che costituiscono la “trilogia della guerra fascista”, la sua tendenza ad osservare con sguardo documentaristico l’umanità e la semplicità degli umili, magari senza rendersi ben conto che anche questo poteva servire alla propaganda di un regime che si avviava verso la crisi. E un certo neorealismo in nuce era rintracciabile, sempre secondo Rossellini, anche in certi film (di Mario Bonnard, di Mario Mattoli…) interpretati con creatività tutta romanesca da Anna Magnani e da Aldo Fabrizi, che non a caso ritroveremo come interpreti di Roma città aperta. E da parte nostra non possiamo non citare Ossessione di Visconti (1943), tradizionalmente considerato il primo vero film neorealista, anche se Rossellini forsecitare Ossessione di Visconti (1943), tradizionalmente considerato il primo vero film neorealista, anche se Rossellini forse.

18.09.2016 VIDEO

“Hanno detto, scritto e ripetuto in tutti i toni che io ho scoperto una nuova forma di espressione: il neorealismo. È certamente vero poiché, su questo punto, tutti i critici sono d’accordo e nessuno ha mai ragione contro l’opinione generale. Ma non riesco facilmente a lasciarmi convincere. Questo termine di neorealismo è nato con Roma città aperta. Successo a scoppio ritardato, come le bombe dello stesso nome. Quando fu presentato a Cannes nel 1946, il film passò totalmente inosservato. L’hanno scoperto molto più tardi e inoltre non sono sicuro che abbiano ben compreso le mie intenzioni. In quell’occasione mi hanno battezzato l’inventore del neorealismo italiano. Che cosa significa? Io non mi sento affatto solidale con i film che si fanno nel mio paese. Mi sembra evidente che ciascuno possiede il suo proprio realismo e che ciascuno stima che il suo sia il migliore, me compreso. Il mio ‘neorealismo’ personale non è nient’altro che una posizione morale che si può spiegare in tre parole: l’amore del prossimo” (1).

Una posizione morale che consiste nel mettersi a guardare obiettivamente il mondo e le vicende umane, senza portare su di esse nessun giudizio, “perché le cose, in sé, hanno il loro giudizio” (2); e rifiutando drasticamente la tentazione della spettacolarizzazione, perché “oggetto del film realistico è il ‘mondo’, non la storia, non il racconto” (3). Sarà lo stesso Rossellini a far notare a chi considerò Roma città aperta come la rivelazione di una nuova tendenza del cinema italiano, che il neorealismo nacque in effetti già anni prima, nel bel mezzo della seconda guerra mondiale, grazie ai suoi film precedenti, da lui stesso definiti “documentari romanzati”:

La nave bianca (1941), sul mondo dei feriti su una nave ospedale, Un pilota ritorna (1942), su un pilota fatto prigioniero dagli inglesi, e L’uomo della croce (1943), ambientato durante la campagna di Russia. Certo, Rossellini era ancora in parte prigioniero di quella retorica del fascismo che tendeva a infarcire l’osservazione del reale con artifici spettacolari, ma già si poteva intravvedere, in questi film che costituiscono la “trilogia della guerra fascista”, la sua tendenza ad osservare con sguardo documentaristico l’umanità e la semplicità degli umili, magari senza rendersi ben conto che anche questo poteva servire alla propaganda di un regime che si avviava verso la crisi. E un certo neorealismo in nuce era rintracciabile, sempre secondo Rossellini, anche in certi film (di Mario Bonnard, di Mario Mattoli…) interpretati con creatività tutta romanesca da Anna Magnani e da Aldo Fabrizi, che non a caso ritroveremo come interpreti di Roma città aperta. E da parte nostra non possiamo non citare Ossessione di Visconti (1943), tradizionalmente considerato il primo vero film neorealista, anche se Rossellini forsecitare Ossessione di Visconti (1943), tradizionalmente considerato il primo vero film neorealista, anche se Rossellini forse.