La scorsa primavera, nell’ambito del festival “Strange Days” dedicato agli anni Novanta, i Circoli del cinema di Bellinzona e di Locarno presentarono tra gli altri film in programma Before Sunrise – Prima dell’alba (1995) di Richard Linklater, primo tassello di quella che sarebbe poi diventata una trilogia che ha contribuito a far conoscere il regista texano, classe 1960, fuori dai confini degli States. In realtà, la prima intenzione era quella di proiettare Slacker(1991), secondo lungometraggio di Linklater ma di fatto il primo che attirò su di lui l’attenzione della critica, il “vero” ritratto della cosiddetta Generazione X, fatta di ventenni sfaccendati e logorroici, apatici e senza ambizioni, ripresi sull’arco di una loro giornata qualsiasi.
Ma dato che fu impossibile reperire una copia sottotitolata di quel film, si optò per l’incantevole Before Sunrise, nel quale un giovane americano (Ethan Hawke) e una giovane francese (Julie Delpy) si incontrano per caso su un treno e passano una notte insieme a Vienna, passeggiando per le vie della città e chiacchierando senza sosta, prima di riprendere ognuno il proprio viaggio e darsi appuntamento nello stesso luogo sei mesi dopo. I due attori, che sembrano improvvisare i loro dialoghi ma che in realtà seguono una sceneggiatura rigida scritta anche con la loro collaborazione (sebbene non siano citati nei credits), vengono seguiti nel loro peregrinare con interminabili piani sequenza, e il film nel suo complesso appare molto debitore del cinema di Eric Rohmer.
Sempre durante “Strange Days” fu poi presentato alla Biblioteca cantonale di Locarno il libro di Francesca Monti e Emanuele Sacchi “Richard Linklater. La deriva del sogno americano“, e fu proprio in quell’occasione che si concretizzò l’idea di una rassegna che facesse conoscere al pubblico ticinese l’opera di uno dei registi più significativi cresciuto alla fine del secolo scorso nella scena del cinema indipendente americano.
Ancor più che per la già citata trilogia (dopo Before Sunrise, Linklater realizza nel 2004 Before Sunset e nel 2013 Before Midnight, sempre con gli stessi due attori che si rincontrano dapprima a Parigi e ritroviamo come coppia fissa con figli durante una vacanza in Grecia), la fama di Richard Linklater è senz’altro legata a quel film eccezionale che è Boyhood (2014), curioso esempio di una folle scommessa sperimentale (filmare sull’arco di dodici anni la crescita di un ragazzino, dalla prima infanzia sino alla fine del liceo, con gli stessi attori che invecchiano naturalmente, senza nessun trucco, nessuna sostituzione), che arriverà ad essere coronata con i premi più prestigiosi dell’establishment cinematografico (3 Golden Globe, un Oscar, 2 Independent Spirit Award, un Orso d’argento a Berlino).
Altri lo conosceranno per il suo film più “commerciale”, The School of Rock (2003), l’unico caso nella sua lunga filmografia di una produzione totalmente hollywoodiana, nella quale riesce comunque a far sentire il suo spirito fondamentalmente trasgressivo. Ma chi è veramente Richard Linklater?
Nato, cresciuto e residente in Texas, tra Houston e Austin, quindi al di fuori sia del polo industriale hollywoodiano sia di quello intellettuale newyorkese, autodidatta e ossessivamente cinefilo (con un’attenzione particolare al cinema europeo), sperimentatore testardo nonostante i molti insuccessi commerciali, la sua personalità non è facile da definire e sfugge ad ogni comoda etichettatura. Non sappiamo nemmeno se questa nostra retrospettiva (parziale, perché per vari motivi, di reperibilità delle copie oltre che di calendario, comprende “solo” la metà della ventina di film realizzati in trent’anni di carriera) sarà in grado di rivelare l’identità autentica dell’autore, che rischia invece di apparire piuttosto contraddittoria, continuamente in bilico tra l’aspirazione all’indipendenza creativa e l’attrazione verso questo o quel tipo di cinema tradizionale, questo o quel genere cinematografico.
Lo spettatore non potrà fare a meno di percepire le profonde differenze fra un film e l’altro, e anche i loro esiti artistici altalenanti. Un po’ come nel caso di Robert Altman, non si potrà sempre parlare di capolavori: in alcuni casi, a seconda delle sensibilità e delle aspettative di ognuno, potrà essere il caso; in altri si potranno anche notare delle incompiutezze. Ma si dovrà comunque riconoscere a Linklater la volontà di una continua e non gratuita ricerca di nuove forme espressive e il suo inestinguibile impulso a non assoggettarsi ai canoni dominanti. Quasi tutti i suoi film nascono da un’unica ossessione, quella di riflettere sul tempo, quello reale e quello cinematografico. Come notano giustamente Francesca Monti e Emanuele Sacchi nel loro libro, “il lavoro sul tempo condotto dal regista texano porta a riflettere sull’importanza di vivere l’istante, sulle relazioni del presente con il passato e il futuro, sulla soggettività del tempo, che tende a corrispondere poco a una concezione scientifica e lineare, e molto, invece, ai nostri incubi e desideri. La fascinazione di Linklater per il mezzo cinematografico deriva in primis da questa possibilità di estendere, rallentare, elidere, accorciare e distorcere il tempo. O meglio, dall’illusione di poterlo fare”. La vita è un sogno, per l’appunto.
Michele Dell’Ambrogio, Circolo del cinema Bellinzona
Le schede sui film e la citazione nell’introduzione sono tratte dal libro di Francesca Monti & Emanuele Sacchi, Richard Linklater. La deriva del sogno americano, Milano, Edizioni Bietti, 2016. Il libro sarà in vendita alle casse dei cinema.
Per la concessione dei diritti di proiezione, si ringraziano: MPLC, Zürich, Impuls Pictures AG, Steinhausen, Pathé Films AG, Zürich.
Per Fast Food Nation, Bernie e Me and Orson Welles, nonostante le nostre ricerche, non siamo stati in grado di risalire agli aventi diritto, ma siamo comunque disposti a esaudire richieste in tal senso.
sceneggiatura: Richard Linklater; fotografia: Lee Daniel; montaggio: Sandra Adair; interpreti: Jason London, Joey Lauren Adams, Wiley Wiggins, Milla Jovovich, Christine Hinojosa, Michelle Burke, Shawn Andrews, Rory Cochrane, Adam Goldberg, Renée Zellweger, Ben Affleck, Matthew McConaughey, Parker Posey…; produzione: Sean Daniel, James Jacks, Richard Linklater, Anne Walker-McBay per Alphaville Films/Detour Filmproduc- tion/Gramercy Pictures.
v.o. inglese, st. italiano, 102′ – USA 1993
Texas, 1976. È l’ultimo giorno di scuola prima dell’estate. Per alcuni, come Randall “Pink” Floyd e Don Dawson, significa l’ultimo atto prima del college; per i freshmen come Mitch, invece, conta solo l’incubo dei riti goliardici di “accettazione” a cui saranno sottoposti dai seniors. Il più sadico di questi, O’Bannion, è ossessionato da Mitch e lo punisce duramente. Per consolarlo, il popolare Pink e l’edonista Wooderson lo portano a spasso con loro, in una serata piena di feste, chiacchiere e ragazze. Intanto Pink, quarterback della squadra di football, deve decidere cosa fare del suo futuro: l’allenatore gli impone di firmare un giuramento contro le droghe e l’alcool pena l’esclusione dalla squadra. Pink prende tempo ma non riesce a decidersi.
La vita è un sogno non potrebbe essere più lontano da American Graffiti. E questo nonostante siano entrambi ambientati durante un’unica notte, tra automobili, ragazzi e ragazze. Dove il film di George Lucas edulcora i Cinquanta e i primi Sessanta di un’America innocente, che non ha ancora conosciuto l’assassinio di JFK e il Vietnam, quello di Linklater presenta i Settanta per quello che sono, benché filtrati attraverso la lente della soggettività e dell’elemento autobiografico […] Gli anni Settanta non “fanno schifo”, così come non sono un Eden perduto a cui fare ritorno. La vita è un sogno non emette sentenze. Ma lavora nella stessa maniera, diseguale e soggettiva, in cui lavora la memoria.
Presentazione di Francesca Monti e/o Emanuele Sacchi
sceneggiatura: Richard Linklater, Kim Krizian; fotografia: Lee Daniel; montaggio: Sandra Adair; interpreti: Ethan Hawke, Julie Delpy, Andrea Eckert, Hanno Pöschl, Erni Mangold, Dominik Castell, Karl Bruckschwaiger, Tex Rubinowitz…; produzione: Ann Walker-McBay, Wolfgang Ramml, Gernot Schaffler, Ellen Winn Wendl per Castle Rock Entertainment / Detour Filmproduktion, F.I.L.M.H.A.U.S., Wien / Sunrise Production / Columbia Pictures Corporation.
Orso d’Argento al Festival di Berlino 1995
v.o. inglese, st. italiano, 105′ – USA/Austria 1995
Vienna, 16 giugno 1994. Jesse, venticinquenne statunitense, e Céline, ventitreenne francese, fanno conoscenza a bordo di un treno diretto a Vienna. Il mattino seguente, Jesse dovrebbe ripartire per gli Stati Uniti, mentre Céline deve proseguire il viaggio in treno fino a Parigi, dove vive. Tuttavia, dopo aver scoperto un’innata sintonia con la giovane, Jesse la invita a scendere con lui a Vienna e a fargli compagnia fino al mattino seguente. I due trascorrono così la notte passeggiando per la città, tra confidenze, giochi, sguardi e un’intesa che diviene sempre più perfetta e sorprendente. L’esperienza li porta a pensare di vivere un sogno, una diversione dalla loro realtà quotidiana. All’alba, i due si dividono a malincuore, proseguendo il loro viaggio in direzioni opposte. Al momento dei saluti, però, Jesse e Céline si promettono di dare un seguito alla loro storia, rivedendosi nella stessa stazione ferroviaria sei mesi dopo. Mentre li vediamo viaggiare soli, con aria speranzosa e nostalgica, siamo indotti a chiederci se si rincontreranno.
Prima dell’alba rappresenta uno dei tentativi più riusciti di Linklater di superare l’opposizione tra film d’autore e prodotto commerciale. La costruzione narrativa del film, infatti, è tanto sperimentale quanto ancorata, nella sua essenza, a un genere hollywoodiano solido come il musical. Ovviamente, in questo caso, si tratta di un musical privo di numeri di danza e di canzoni […] L’altra principale fonte di ispirazione per questo film è la Nouvelle Vague (Eric Rohmer e Jean-Luc Godard in particolare) e, soprattutto, la riflessione di André Bazin sul mezzo cinematografico. In accordo con l’idea di realismo teorizzata dal critico, Linklater fonda Prima dell’alba su una figura particolare: il piano sequenza […] L’idea di evitare quanto più possibile il montaggio, per far scorrere la naturalezza della vita sullo schermo, si accorda all’altro elemento che viene celebrato nel film: la parola come flusso, come interscambio tra individui e, dunque, il dialogo.
sceneggiatura: Mike White; fotografia: Rogier Stoffers; montaggio: Sandra Adair; interpreti: Jack Black, Joan Cusack, Mike White, Sarah Silverman, Joey Gaydos jr., Maryan Hassan, Kevin Clark, Rebecca Brown, Robert Tsai, Caitlin Hake…; produzione: Scott Rudin per Paramount Pictures / Scott Rudin Productions / MFP Munich Film Partners GmbH & Company I. Produktions KG / New Century / Sor Productions.
v.o. inglese, st. italiano, 108′ – USA/Germania 2003
Dewey Finn è un rocker di scarso successo che bazzica i locali di New York con la sua band, No Vacancy, e condivide l’appartamento con l’amico Ned Schneebly, a cui deve diversi mesi arretrati di affitto. Dopo una serata disastrosa, conclusasi con uno stage diving doloroso, la band decide di allontanare Finn senza troppi complimenti. Non sapendo più come rimediare i soldi di cui ha bisogno, Finn decide di fingersi Schneebly e di accettare una supplenza nella suola elementare più prestigiosa e rigida di Manhattan, la Horace Green. Il bluff è difficile da sostenere, specie senza la complicità degli alunni, ma, dopo averli ascoltati suonare nell’ora di musica, Finn decide di trasformare i ragazzini in rocker e di portarli al concorso Battle of the Bands, ricorrendo a ogni possibile stratagemma.
Per il regista texano, School of Rock rappresenta una novità assoluta, il primo (e ultimo) caso in cui la sua sarà una regia su commissione, con uno script già predisposto e vincoli produttivi ben definiti. Linklater dimostra di sapersi adattare al ruolo, riuscendo però a introdurre un tocco personale che rende il film un’ulteriore e coerente manifestazione della sua poetica […] L’apparente estraneità del film rispetto alla poetica di Linklater è per lo più ingannevole. Nella cornice di un racconto sostanzialmente ottimista e consolatorio, infatti, Linklater instilla elementi anti-sistema e scanzonatamente sovversivi. Un invito alla ribellione che si traduce, per i bambini, in una fondamentale scoperta di sé. A simboleggiare questo contrasto è già la scena iniziale, in cui un chiaro omaggio a un caposaldo della trasgressione come Scorpio Rising è seguito dalla tragicomica esibizione dei No Vacancy.
sceneggiatura: Richard Linklater, Julie Delpy, Ethan Hawke; fotografia: Lee Daniel; montaggio: Sandra Adair; interpreti: Ethan Hawke, Julie Delpy, Alexander Vernon Dobtcheff, Albert Delpy…; produzione: Anne Walker-McBay, Isabelle Coulet per Warner Independent Pictures (WIP) / Castle Rock Entertainment / Detour Filmproduction.
v.o. inglese, st. francese, 80′ – USA 2004
Parigi, 2003. Nove anni dopo la separazione che concludeva Prima dell’alba, Jesse è uno scrittore che ha avuto successo e sta compiendo un tour dell’Europa per promuovere il suo romanzo, intitolato “This Time“, che racconta gli eventi del primo film. Durante la tappa parigina nella libreria del Quartiere Latino Shakespeare and Co., Jesse incontra la stampa. Mentre risponde alle domande dei giornalisti nota Céline, che ascolta tra gli scaffali. Finalmente i due si rincontrano e, visto che a Jesse rimane poco tempo da passare a Parigi prima della partenza, trascorrono l’attesa passeggiando e ritornando con la mente a quella sera ormai lontana a Vienna.
Pur essendo un sequel, Before Sunset è il film centrale della trilogia, in quanto è in questo capitolo che Céline e Jesse si mettono insieme e costruiscono la loro relazione. Ed è centrale perché, proprio scegliendo di proseguire la narrazione della storia della coppia, Linklater dona all’operazione il carattere dell’imprevedibilità, dell’apertura: come potrà riprendere la storia d’amore dopo una pausa di nove anni? Come giustificare l’insuccesso dell’incontro programmato sei mesi dopo la famosa notte viennese? Se Prima dell’alba è una versione cinematografica e cinefila del più classico dei sogni romantici – qualcosa che si avvicina fortemente alla sfera onirica – Before Sunset riporta l’incontro tra due alterità a una dimensione terrena, sfidando una serie di rischi. Anzitutto quello di scadere nella volgarità, dovendo affrontare questioni più pragmatiche e quotidiane. In secondo luogo quello della maggior consapevolezza acquisita dallo spettatore verso l’intera operazione, e dunque una perdita di freschezza. È in Before Sunset che realtà e sogno si scontrano per la prima volta e i confini si confondono: per gli innamorati non si tratta più di uno splendido gioco, ma di compiere una scelta matura, che comporta rischi e responsabilità.
sceneggiatura: Eric Schlosser, Richard Linklater; fotografia: Lee Daniel; montaggio: Sandra Adair; interpreti: Greg Kinnear, Catalina Sandino Moreno, Ana Claudia Talancón, Wilmer Valderrama, Ashley Johnson, Patricia Arquette, Ethan Hawke, Bruce Willis, Kris Kristofferson, Luis Guzmán, Bobby Cannavale, Esai Morales, Avril Lavigne, Paul Dano, Lou Taylor Pucci…; produzione: Jeremy Thomas, Malcolm McLaren per Fox Searchlight Pictures / Participant Production / HanWay Films / BBC Films / Recorded Picture Company.
v.o. inglese, st. italiano, 112′ – USA/Gran Bretagna 2006
Don Anderson è il responsabile marketing della catena di fast-food Mickey’s. Il suo prestigio nell’azienda è aumentato da quando ha ideato uno dei prodotti di punta della catena, il panino “Big One”. Durante una riunione, tuttavia, viene informato da un dirigente che la carne destinata al prodotto che ha concepito è contaminata da feci animali. Viene così inviato a Cody, in Colorado, per indagare sulle condizioni in cui avviene la macellazione dei bovini. La prima visita allo stabilimento non rivela alcuna irregolarità, ma alcune persone che hanno frequentato il mattatoio raccontano versioni ben più preoccupanti. Una volta scoperto come nasce davvero un “Big One”, Don sceglie di tacere la verità e di continuare il suo lavoro, con rosee prospettive di carriera. Alla sua vicenda si intrecciano quella di alcuni clandestini messicani che varcano la frontiera per lavorare al macello e garantirsi uno stipendio maggiore rispetto a quello percepito in patria, e quella della promettente Amber, cameriera del Mickey’s di Cody, che decide di licenziarsi per aderire alle proteste contro i fast-food.
Il film si rivela, anche alla prova del tempo, uno dei lavori più apertamente politici di Linklater, che si accosta a un tipo di cinema distante da quello frequentato sino a quel momento, sulla base di un’adesione personale alla denuncia mossa da Schlosser [cosceneggiatore del film e autore del libro omonimo a cui il film si ispira] nei confronti delle peggiori derive del capitalismo occidentale […] In Fast Food Nation non sono solo le abitudini alimentari occidentali a essere messe in discussione, ma anche altre questioni sociali urgenti come lo sfruttamento dei migranti; la natura ancora fortemente classista dell’America, in cui permane una rigida divisione tra ricchi e poveri; le falle del sistema sanitario americano e dei rapporti di lavoro.
Presentazione di Francesca Monti e/o Emanuele Sacchi
sceneggiatura: Holly Gent Palmo, Vince Palmo, da un romanzo di Robert Kaplow; fotografia: Dick Pope; montaggio: Sandra Adair; interpreti: Zac Efron, Christian McKay, Claire Danes, Zoe Kazan, Ben Chaplin, James Tupper, Eddie Marsan, Leo Bill, Kelly Reilly, Megan Maczko…; produzione: Ann Carli, Richard Linklater, Marc Samuelson per Cinema NX / Isle of Man Film / Framestore / Hart-Lunsford Pictures / Detour Filmproduction / Fuzzy Bunny Films.
v.o. inglese, st. italiano, 114′ – USA/Gran Bretagna/Isola di Man 2008
1937. Richard Samuels arriva a New York in cerca di fortuna come attore. Dopo aver conosciuto la sognatrice Gretta, aspirante scrittrice, punta dritto al Mercury Theatre e a Orson Welles, che lì sta preparando l’imminente prima del Giulio Cesare. Richard riesce a convincere il regista e trova una piccola parte nello spettacolo, ma soprattutto ha occasione di trascorrere del tempo con Welles e con la segretaria del teatro, Sonja, di cui ben presto si innamora. Ma, dopo aver toccato il cielo con un dito, dovrà sopportare una cocente delusione.
Era un incontro quasi inevitabile quello tra Richard Linklater e Orson Welles. Un autore impossibile da identificare sia con il cinema mainstream sia con quello indipendente, beniamino del Sundance, al contempo regista di un campione di incassi come School of Rock, che pure ha assaggiato l’amarezza dell’insuccesso e delle sue conseguenze. Orson Welles per lui non può che rappresentare uno spirito guida, un esempio, un’icona […] Me and Orson Welles, come quasi tutti i titoli della filmografia di Richard Linklater, rifiuta ogni catalogazione. Lo spirito che lo anima e il modo in cui sono ritratti i giovani protagonisti lo avvicinano al cinema indipendente; l’ambientazione storica e la sostanziale convenzionalità della sceneggiatura, lineare, da biopic romanzato, invece, lo allontanano. Questo dualismo, unito alla scelta di Zac Efron – idolo delle teenager in piena ascesa grazie al successo di High School Musical di Kenny Ortega (2006) – contribuisce all’effetto di disorientamento. Senza un target definito viene meno la facilità di veicolare un prodotto e di conseguenza la sua appetibilità commerciale.
sceneggiatura: Richard Linklater, Skip Hollandsworth; fotografia: Dick Pope; montaggio: Sandra Adair; interpreti: Jack Black, Shirley MacLaine, Matthew McConaughey, Brady Coleman, Richard Robichaux, Rick Dial, Brandon Smith, Larry Jack Dotson, Merrilee McCommas, Matthew Greer, Gabriel Luna…; produzione: Céline Rattray, Martin Shafer, Liz Glotzer, Matt Williams, David McFadzean, Judd Payne, Dete Meserve, Ginger Sledge, Richard Linklater per Mandalay Vision / Wind Dancer Films / Detour Filmproduction / Castle Rock Entertainment / Collins House Productions / Horsethief Pictures.
v.o. inglese, st. italiano, 99′ – USA 2011
L’assistente alle pompe funebri Bernie Tiede è uno dei cittadini più apprezzati dalla comunità di Carthage, cittadina rurale del Texas. Sensibile nei confronti della solitudine delle numerose vedove del paese, impegnato nelle attività artistiche locali, conquista persino Marjorie Nugent, la donna più ricca del paese. Dopo aver perso il marito, Marjorie sviluppa un legame sempre più stretto con Bernie, la cui vicinanza inizialmente addolcisce il suo carattere burbero e irascibile. Tuttavia, se da un lato Bernie ha accesso ai beni della vedova, dall’altro viene ridotto a una condizione di totale subalternità, che lo porta a liberarsene con un colpo di fucile. Per i successivi nove mesi Bernie conserva il cadavere nascosto in un congelatore e nel frattempo usa il denaro della donna per compiere opere di bene nei confronti dei concittadini. Alla scoperta dell’omicidio seguono l’arresto e l’immediata confessione di Bernie. Durante il processo, nonostante venga difeso dalla maggior parte degli abitanti di Carthage, che ritengono il suo gesto giustificato dalla natura malvagia di Marjorie, viene condannato all’ergastolo senza alcuna attenuante.
Bernie non è classificabile né come un film di fiction, né come un documentario. Si tratta piuttosto di un racconto del caso Tiede [fatto reale di cronaca nera pubblicato sul mensile “Texas Monthly” dal giornalista Skip Hollandsworth, poi cosceneggiatore del film] da un punto di vista corale, con alcuni membri della comunità di Carthage che interpretano se stessi, attori non professionisti che si prestano a interviste dirette sui loro ricordi legati al caso di Tiede, e star che incarnano i protagonisti della vicenda […] In un certo senso Newton Boys (1998) è il lavoro di Linklater che presenta più punti di contatto con Bernie, anche se quest’ultimo si spinge oltre in direzione del mockumentary, parodia della forma documentaria […] L’approccio di Linklater fonde rievocazione, intervista e improvvisazione per falsare il nostro senso di reale e di realismo.
sceneggiatura: Richard Linklater, Julie Delpy, Hethan Hawke; fotografia: Christos Voudouris; montaggio: Sandra Adair; interpreti: Ethan Hawke, Julie Delpy, Ariane Labed, Yiannis Papadopoulos, Athina Rachel Tsangari, Xenia Kalogeropoulou, Walter Lassally, Seamus Davey-Fitzpatrick, Panos Koronis, Charlotte Prior, Jennifer Prior…; produzione: Richard Linklater, Christos V. Konstantakopoulos, Sara Woodhatch per Faliro House / Venture Forth / Detour Filmproduction / Castle Rock Entertainment.
v.o. inglese, st. francese, 109′ – USA/Grecia 2013
In seguito all’incontro a Parigi, Jesse e Céline hanno iniziato a convivere e dal loro amore sono nate due gemelle. Nel frattempo, Jesse è diventato uno scrittore di successo, raccontando nei suoi romanzi la storia con Céline. Dopo aver trascorso una vacanza insieme in Grecia, Jesse riaccompagna il figlio avuto dal matrimonio precedente in aeroporto, per fargli prendere il volo per Chicago. Tornato in macchina da Céline e dalle altre figlie, l’uomo confessa il proprio senso di colpa verso il primogenito e il desiderio di trasferirsi negli Stati Uniti per vederlo più spesso. Céline non riesce a nascondere il proprio disappunto. Ospiti di un famoso scrittore greco, i due si trovano a stemperare le loro tensioni confrontandosi con gli amici presenti, che li invitano a trascorrere una notte da soli, senza le bambine, in un albergo del posto. Giunti nella camera, i due stanno per fare l’amore, ma vengono interrotti da una telefonata del figlio di Jesse. Parlare della ex moglie li porta immediatamente alla lite e i due cominciano a rinfacciarsi ciò che non sopportano l’uno dell’altro. Al culmine della tensione, Céline lascia la stanza dicendo di non amare più Jesse. Quest’ultimo la raggiunge e le parla fingendosi un “viaggiatore del tempo”, venuto dal futuro per dirle che questa sarà una notte indimenticabile. Céline, tranquillizzata, torna a ridere con lui.
Nei film precedenti, Jesse e Céline parlavano del futuro, delle loro ambizioni, dei timori e delle speranze. In Before Midnight, i discorsi spaziano dagli errori del passato fino ai problemi del presente. Il futuro è evocato al massimo come fantasia sul reciproco funerale. In definitiva, appare immediatamente chiaro che Linklater, con Delpy e Hawke, abbia deciso di abbandonare l’idealizzazione dell’amore romantico presente nei precedenti capitoli, per abbracciare la dimensione più realistica di un amore consumato dal tempo. Before Midnight abbandona anche, almeno in parte, la sfida del tempo reale perseguita da Before Sunset. Il film è infatti costruito attorno a cinque unità sceniche fondamentali, tra loro distinte da evidenti ellissi. Più che il tempo reale, a Linklater interessa qui lavorare sul piano sequenza, grazie anche all’abilità del direttore della fotografia Christos Voudouris, collaboratore abituale di Yorgos Lanthimos.
sceneggiatura: Richard Linklater; fotografia: Lee Daniel, Shane Kelly; montaggio: Sandra Adair; interpreti: Ellar Coltrane, Lorelei Linklater, Patricia Arquette, Ethan Hawke, Charlie Sexton, Steven Prince, Libby Villari, Marco Perella, Andrew Villarreal, Jamie Howard, Zoe Graham, Jenni Tooley, Brad Hawkins…; produzione: Richard Linklater, Cathleen Sutherland, Jonathan Sehring, John Sloss per IFC Productions / Detour Film-production.
Oscar per la miglior attrice non protagonista a Patricia Arquette
Tre Golden Globe: miglior film drammatico, miglior regia e miglior attrice non protagonista a Patricia Arquette
Orso d’Argento, Berlino 2014
Due Independent Spirit Award: miglior regia, miglior attrice non protagonista a Patricia Arquette
v.o. inglese, st. italiano, 165′ – USA 2014
Mason è un bambino introverso e creativo, con un rapporto difficile con l’autorità scolastica. La sorella Samantha al contrario colleziona sempre ottimi voti a scuola e lo prende in giro, mentre la madre Olivia cerca di mantenere l’equilibrio in famiglia. Quando Mason sr. torna dall’Alaska prova a riconciliarsi con Olivia, ma la frattura tra i due è insanabile. Olivia riprende a frequentare l’università a Houston, per poter guadagnare uno stipendio sufficiente per il mantenimento dei figli. Il matrimonio con un professore, Bill, sembra la soluzione di ogni male, ma l’uomo si rivelerà un alcolizzato manesco e Olivia dovrà fuggire, portando in salvo Mason e Samantha a San Marcos. Lì i ragazzini dovranno ripartire da capo e formare nuove amicizie. Intanto gli anni passano e le visite del padre si fanno sempre più regolari.
Se Richard Linklater fosse un autore più convenzionale, si potrebbe definire Boyhood il suo film-manifesto. Nell’apparentemente caotico – ma in realtà meticolosamente studiato – universo del regista texano, Boyhood gioca un ruolo fondamentale. Si tratta di un esperimento audace, destinato a segnare una tacca indelebile nella Storia del cinema, e del suo film più sperimentale, oltre che del più somigliante a una summa della sua poetica […] Il film è il risultato di uno dei progetti più folli e azzardati mai concepiti prima. Nel 2001 Linklater sceglie infatti di filmare la crescita di un ragazzino dall’età di sei anni a quella di diciotto: il progetto prevedeva l’assemblaggio in un’unica opera di finzione di 12 cortometraggi di circa 10-15 minuti, realizzati anno dopo anno. Nel risultato finale, i personaggi invecchiano perché gli attori invecchiano, e non grazie a un truccatore che li fa apparire come tali […] Tra i molti elementi che rendono Boyhood un caso unico, per certi versi irripetibile, c’è la sua rinuncia a una trama tradizionale in favore di qualcosa che assomigli il più possibile alla vita vera, ancora una volta comprese le parti noiose.
sceneggiatura: Richard Linklater; fotografia: Shane F. Kelly; montaggio: Sandra Adair; interpreti: Blake Jenner, Juston Street, Ryan Guzman, Zoey Deutch, Austin Amelio, Wyatt Russell, Will Brittain, Taylor Murphy, Courtney Tailor, Christina Burdette, Tyler Hoechlin, Glen Powell…; produzione: Megan Ellison, Richard Linklater, Ginger Sledge per Annapurna Pictures / Detour Filmproduction / Paramount Pictures.
v.o. inglese, st. italiano, 117′ – USA 2016
Texas, 1980. Jake, lanciatore di baseball e matricola del college, conosce quelli che saranno i suoi compagni di squadra e nuovi coinquilini. In attesa che comincino le lezioni, il ragazzo approfondisce l’amicizia trascorrendo le serate insieme a loro, tra party, concerti punk, disco music e locali country. Quando conosce Beverly, una studentessa di arti performative, e capisce che l’interesse è reciproco, le sue priorità cambiano. In amore e, forse, nella vita.
Ventitré anni dopo La vita è un sogno, quando Linklater, da promettente talento pieno di iniziative ambiziose è divenuto uno dei registi americani di riferimento per la critica e per una parte consistente del pubblico, una delle scene clou di Tutti vogliono qualcosa è ancora una volta un rito di iniziazione. Tra i più brutali. I “primini” del college, legati a una parete, sono oggetto di un lancio di palline da baseball colpite con la mazza, a tutta forza, dai “veterani”. È il 2016 ed è ancora, inconfondibilmente, lo stesso Richard Linklater, alle prese con quello che i più definiscono il “sequel spirituale” di La vita è un sogno, ma che il regista preferisce accostare a Boyhood, visto che “comincia proprio dove finiva Boyhood, con un ragazzo che si presenta a un college e incontra i suoi nuovi compagni di stanza e una ragazza” […] Nuovamente un cast di sconosciuti, nuovamente un’opera carica di esperienze autobiografiche, di gioia di vivere e di un invisibile e crescente spleen […] Tra punizioni alle matricole, trivialità, feste alcoliche, derisione dei sentimenti, non c’è quasi nulla in Tutti vogliono qualcosa che non sia già stato messo in scena, e talvolta in maniera più brillante, da un teen movie degli anni Novanta e Duemila. Eppure, la riconfigurazione di questi segmenti attraverso la lente poetica di Linklater li rende qualcosa di profondamente diverso, al contempo amaro e divertente: i frammenti di un immaginario nutrito di vita vera e di vita esperita sul grande schermo, che si vogliono preservare dall’oblio.